RUDERI A SINOPOLI
2001
Ci sono muri e muri, quelli della
separazione e quelli che raccolgono ricordi, tracce di vite passate. Possono
essere trincee oppure lavagne della storia, luoghi di riappropriazione del
silenzio e dell’invisibile.
Ai muri si passa oltre, tentando varchi, aggiramenti,
ma Rino Sgavetta, con le sue opere, obbliga a soffermarci sulle increspature
dell’intonaco scrostato, sulle ruvide strade della materia, su brecce
ammalorate da muffe e decadimento o sui colori superstiti, su tracce di carta e
di un passato lacero ma che sbatte le ciglia nel vuoto. E così c’induce a
pensare, a sentire.
Solitudine, silenzio ricorrono
nelle sue tele, graffiate e ferite dalla spatola come Burri praticava il taglio
cerusico per l’infinito. Qui si sbircia tra le cortine dei ricordi e i colpi di
colore sono gli avanzi sedimentati dell’arcobaleno dei giorni.
Lo stesso fondo
è ulteriore parete che l’artista schiude con sapienti costruzioni cromatiche
intorno, lasciando intuire le molteplici possibilità della vita. Nel muro allora
paradossalmente s’innerva il ponte, nel rigore il cedimento e nell’uniformità
angosciante la sprezzatura delle corrosioni e delle crepe.
Vediamo pareti
affollate di lenzuola e di gioia festante,
irradiate di sole e fattesi volti
viventi, non più terra, calce, ma quasi profili esistenziali e spessori
carnali. Intrisi di umanità anche senza ombre. Sono, forse per la prima volta,
una storia che unisce raccordando tempi e spazi, memorie e sogni. Dove anche il
silenzio risuona.
Manuela Bartolotti
Nessun commento:
Posta un commento