domenica 30 aprile 2017

LA RECENSIONE di Manuela Bartolotti

RUDERI A SINOPOLI
2001


Ci sono muri e muri, quelli della separazione e quelli che raccolgono ricordi, tracce di vite passate. Possono essere trincee oppure lavagne della storia, luoghi di riappropriazione del silenzio e dell’invisibile. 



Ai muri si passa oltre, tentando varchi, aggiramenti, ma Rino Sgavetta, con le sue opere, obbliga a soffermarci sulle increspature dell’intonaco scrostato, sulle ruvide strade della materia, su brecce ammalorate da muffe e decadimento o sui colori superstiti, su tracce di carta e di un passato lacero ma che sbatte le ciglia nel vuoto. E così c’induce a pensare, a sentire.


Solitudine, silenzio ricorrono nelle sue tele, graffiate e ferite dalla spatola come Burri praticava il taglio cerusico per l’infinito. Qui si sbircia tra le cortine dei ricordi e i colpi di colore sono gli avanzi sedimentati dell’arcobaleno dei giorni. 


Lo stesso fondo è ulteriore parete che l’artista schiude con sapienti costruzioni cromatiche intorno, lasciando intuire le molteplici possibilità della vita. Nel muro allora paradossalmente s’innerva il ponte, nel rigore il cedimento e nell’uniformità angosciante la sprezzatura delle corrosioni e delle crepe. 
Vediamo pareti affollate di lenzuola e di gioia festante,


irradiate di sole e fattesi volti viventi, non più terra, calce, ma quasi profili esistenziali e spessori carnali. Intrisi di umanità anche senza ombre. Sono, forse per la prima volta, una storia che unisce raccordando tempi e spazi, memorie e sogni. Dove anche il silenzio risuona.

                                                                                                                                 Manuela Bartolotti

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