"...
Macchie, muffe e corrosione si identificano con la memoria
dell’uomo e della natura, lasciano trapelare l’aria dell’informale. È la natura
che crea la sua forma, è lo scorrere del Tempo che stacca l’intonaco svelando
forme fantastiche, la cui irrealtà diviene immutabile proprio nel momento in
cui la si dipinge rendendola tangibile. Nelle stratificazioni di carta dei
“manifesti strappati” c’è il Gesto occasionale dell’uomo che crea forme e
colori. Lo sguardo penetra gli strati di carta, gli incontri casuali di più parole,
gli effetti cromatici si scontrano
estraendone forti contrasti. Le lettere
perdute, le parole incomplete e lefrasi smozzicate che si sovrappongono al
colore fatto materia per mangiarsi e annullarsi l’un l’altra creano il regno della precarietà, dell’ inquietudine,
della perdita del senso. I muri sono supporto di scrittura, di comunicazione e
gestualità per raccontarsi ed affermarsi. I Muri parlano con linguaggi diversi
dalla politica all’ironia, dalla protesta all’amore.
Violati, graffiati, decorati … colorati , sono trasformati
in un dialogo continuo con la storia, quella del tempo e degli uomini.
Sono segni che tagliano e aprono varchi, che riempiono di
cemento i nostri occhi.
Non abbiamo più diari e nemmeno libri che parlano di noi.
Non abbiamo la forza di guardarci allo specchio e, come con
l’autobus nel rumore del traffico, si attende la gioia che non arriva mai.
Ci muoviamo per le strade come macchine e incontriamo solo immagini
pubblicitarie, propagande elettorali, donne e uomini photoshoppati per
convincerci a non essere noi stessi.
Non usiamo gli occhi per leggere poesie, per vedere
orizzonti …
Esistono scritte sui muri che significano tutto per una
singola esistenza, altre per una collettività. Raccolgono più emozioni di una
fotografia, raccontano storie e portano con loro lacrime, sangue, paure,
sorrisi, sudore.
..."
MURI GEOGRAFICI E MURI INTERIORI
In Giappone invece migliaia di giovani vivono volontariamente isolati , si sono richiusi nel proprio confine, il proprio territorio è la loro stanza. Sono chiamati Hikikomori rappresentano il fenomeno degli adolescenti chiusi in camera per anni tra videogiochi, vita virtuale e rifiuto silenzioso del mondo. Si stima che in Italia un fenomeno del genere investe circa 80.000 giovani . Anche di questo confine da superare per entrare in relazione con gli altri e con se sarà raccontato con la mostra.
Che cos’è un muro? Un segno architettonico per eccellenza, qualcosa che divide, che separa uno spazio dall’altro e che non ci permette di vedere oltre. Allo stesso tempo il muro è qualcosa che ci protegge da tutto ciò che accade fuori, circonda i nostri spazi, quelli domestici ad esempio, ma anche quelli di una città.
È lo specchio delle incomprensioni umane. È un simbolo religioso, un luogo in cui andare a pregare. È una tela bianca per i Writers, un posto su cui esprimere e imprimere la loro creatività.
Ognuno di noi ha una diversa concezione del muro. Oltre ai muri fisici ci sono anche quelli invisibili, i muri interiori, quelli che ci costruiamo dentro, che chiudono la nostra mente e che rappresentano spesso limiti invalicabili. In questo contesto l’essenza che il muro porta con sé non è solo sinonimo di segregazione e sopraffazione ma anche di sospensione di contatto con il mondo. Il muro è un confine, una linea mobile ed incerta legata alla nostra visione della realtà. I muri sono anche le nostre certezze, quelle che mettiamo assieme ogni giorno dentro di noi e su cui fondiamo il nostro vivere, quelle di cui abbiamo bisogno per sABITIAMO IL CONFINE, ABBATTIAMO I MURI
Un muro, prima ancora che un ostacolo fisico, è un simbolo: i mattoni, i fasci di filo spinato, le altissime pareti prefabbricate in calcestruzzo vengono innalzate innanzitutto dentro alle teste degli uomini e dei popoli. E solo quando le menti sono ormai imprigionate a dovere a quel punto arrivano i muri veri.
La battaglia più importante si gioca quindi sul piano della metafora.
Quand’è venuto giù il Muro di Berlino, nell’1989, la sua versione ideale era già crollata. E quando Israele ha abbattuto persino le case per lasciar spazio ai chilometri di barriere erette ai confini con la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, quel calcestruzzo e quel metallo erano già state costruite da decenni dentro ai ragionamenti di molti israeliani.entire il limite tra noi e le insicurezze del mondo esterno. Il confine può essere inteso come ciò che unisce i territori o li separa. La riflessione che propongono i promotori della mostra è recuperare il senso del confine come luogo che serve a distinguere ma non a dividere, come luogo che deve favorire l’incontro e non il respingimento.
In pratica il confine è al tempo stesso una soglia ed una barriera , assolutizzare uno dei due elementi fa perdere il senso di equilibrio che occorre assegnare al ruolo del confine perché esso non diventi un luogo conflittuale ma di incontro.
Ciò vale sia per confini politici, geografici, territoriali che per quelli personali. Anche di questi si parla nella mostra , a volta – ci tengono a sottolineare i promotori – essi diventano un ostacolo alla crescita , alla pienezza della vita,, sono confini che non si valicano, si sceglie di abitare isolati in un proprio mondo che finisce per schiacciare e tormentare.
Non cedendo all’idolatria dei confini – dichiarano i promotori – si può immaginare un mondo in cui il confine diventi finalmente luogo di incontro, esperimento concreto di dialogo tra culture, lingue e tradizioni differenti.
Il percorso della mostra è stato immaginato per proporre al visitatore uno spazio di riflessione sia rispetto ai propri confini interiori che ai confini geografici al fine di evitare che entrambi diventino delle barriere.
In Giappone invece migliaia di giovani vivono volontariamente isolati , si sono richiusi nel proprio confine, il proprio territorio è la loro stanza. Sono chiamati Hikikomori rappresentano il fenomeno degli adolescenti chiusi in camera per anni tra videogiochi, vita virtuale e rifiuto silenzioso del mondo. Si stima che in Italia un fenomeno del genere investe circa 80.000 giovani . Anche di questo confine da superare per entrare in relazione con gli altri e con se sarà raccontato con la mostra.
Che cos’è un muro? Un segno architettonico per eccellenza, qualcosa che divide, che separa uno spazio dall’altro e che non ci permette di vedere oltre. Allo stesso tempo il muro è qualcosa che ci protegge da tutto ciò che accade fuori, circonda i nostri spazi, quelli domestici ad esempio, ma anche quelli di una città.
È lo specchio delle incomprensioni umane. È un simbolo religioso, un luogo in cui andare a pregare. È una tela bianca per i Writers, un posto su cui esprimere e imprimere la loro creatività.
Ognuno di noi ha una diversa concezione del muro. Oltre ai muri fisici ci sono anche quelli invisibili, i muri interiori, quelli che ci costruiamo dentro, che chiudono la nostra mente e che rappresentano spesso limiti invalicabili. In questo contesto l’essenza che il muro porta con sé non è solo sinonimo di segregazione e sopraffazione ma anche di sospensione di contatto con il mondo. Il muro è un confine, una linea mobile ed incerta legata alla nostra visione della realtà. I muri sono anche le nostre certezze, quelle che mettiamo assieme ogni giorno dentro di noi e su cui fondiamo il nostro vivere, quelle di cui abbiamo bisogno per sABITIAMO IL CONFINE, ABBATTIAMO I MURI
Un muro, prima ancora che un ostacolo fisico, è un simbolo: i mattoni, i fasci di filo spinato, le altissime pareti prefabbricate in calcestruzzo vengono innalzate innanzitutto dentro alle teste degli uomini e dei popoli. E solo quando le menti sono ormai imprigionate a dovere a quel punto arrivano i muri veri.
La battaglia più importante si gioca quindi sul piano della metafora.
Quand’è venuto giù il Muro di Berlino, nell’1989, la sua versione ideale era già crollata. E quando Israele ha abbattuto persino le case per lasciar spazio ai chilometri di barriere erette ai confini con la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, quel calcestruzzo e quel metallo erano già state costruite da decenni dentro ai ragionamenti di molti israeliani.entire il limite tra noi e le insicurezze del mondo esterno. Il confine può essere inteso come ciò che unisce i territori o li separa. La riflessione che propongono i promotori della mostra è recuperare il senso del confine come luogo che serve a distinguere ma non a dividere, come luogo che deve favorire l’incontro e non il respingimento.
In pratica il confine è al tempo stesso una soglia ed una barriera , assolutizzare uno dei due elementi fa perdere il senso di equilibrio che occorre assegnare al ruolo del confine perché esso non diventi un luogo conflittuale ma di incontro.
Ciò vale sia per confini politici, geografici, territoriali che per quelli personali. Anche di questi si parla nella mostra , a volta – ci tengono a sottolineare i promotori – essi diventano un ostacolo alla crescita , alla pienezza della vita,, sono confini che non si valicano, si sceglie di abitare isolati in un proprio mondo che finisce per schiacciare e tormentare.
Non cedendo all’idolatria dei confini – dichiarano i promotori – si può immaginare un mondo in cui il confine diventi finalmente luogo di incontro, esperimento concreto di dialogo tra culture, lingue e tradizioni differenti.
Il percorso della mostra è stato immaginato per proporre al visitatore uno spazio di riflessione sia rispetto ai propri confini interiori che ai confini geografici al fine di evitare che entrambi diventino delle barriere.
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