Giovedì 17 Maggio 2018 - Tappa 12: Osimo-Imola, 213 km
ALESSANDRO RICCI
(Chi è? ALESSANDRO RICCI (1974) giornalista free lance, inizia con “Il Messaggero” Abruzzo nel 1994. Ha collaborato con testate nazionali a tema turismo e tempo libero, cura l’ufficio stampa per enti pubblici e privati. Ha avviato il progetto Borracce di poesia nel 2007 , nel 2013 vince il Cycling Visionaries Awards al Velo-City di Vienna, sezione Cycling and the Arts).
Quando rima con saetta o quando fa dlin dlin.
Quando dà scandalo o racconta di “curve schiene striate mulinanti/nella pista” per dirla con le parole di Eugenio Montale (1896-1981) e ancora si racchiude in un haiku o ispira lo scivolare via dei pensieri, la bicicletta è poesia.
Pedalare è un gesto poetico.
Se ne sono accorte le penne dei poeti che già dalla metà del 1800 hanno cominciato a cantarla. Fino a tempi più recenti con versi dedicati alle imprese dei grandi campioni del ciclismo.
All’inizio non fu facile se per la scrittrice Matilde Serao (1856-1927) la bicicletta era “l’atroce macchina” e per il poeta Giosuè Carducci (1835-1907) i ciclisti erano degli “arrotini arrabbiati”. La bicicletta non piaceva al padre di Giacomo Leopardi, il conte Monaldo, che nel 1831 scriveva: “Camminavo sol pensoso/per solinghe prode amene/quando un mostro fragoroso la mia quiete alta turbò!”. Anche a quei tempi insomma… era colpa dei ciclisti sul marciapiede! Alfredo Oriani, invece, incitando nel 1897 alla composizione di un’ode dedicata alla bicicletta, ne anticipava l’importanza per la mobilità nuova: “Virgilio cantò il cavallo, Monti il pallone, Carducci il vapore, molti la nave, nessuno ancora la bicicletta; eppure né il cavallo, né il pallone né il vapore né la nave resero all’uomo più facile trasportarsi ovunque una qualche necessità lo richiami, lasciandolo più signore di se stesso”.
Ecco allora Olindo Guerrini che con lo pseudonimo di Lorenzo Steccheti, nel 1901, regala dei versi che starebbero benissimo in una scena urbana contemporanea: “Giammai, scoccata da una man feroce/dall’arco teso non fuggì saetta/come al suo sentier corre veloce/la bicicletta”. Bella anche Pedalando, sempre sua : “ed io rimo per te queste parole/in bicicletta respirando il sole”. Giovanni Pascoli, nel 1903, scrive: “La piccola lampada brilla/per mezzo all’oscura città./Più lenta la piccola squilla/dà un palpito, e va…/dlin… dlin…”.
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